E’ durante uno dei primi Consigli dell’anno che si pianifica l’escursione al monte Cevedale, insieme a tutte le gite per l’anno 2011. Io butto là un: “ma posso venire anch’io?” più per scherzo che sul serio ed invece mi sento rispondere che sì, porteranno anche me se lo desidero! Da allora non penso ad altro, io che in tutta la mia vita, al massimo ho raggiunto i 2200 metri di altezza. Arriva il gran giorno e siamo in ben quattordici a tentare (almeno per me) l’impresa, ma il meteo gioca contro e dobbiamo rimandare. La settimana successiva partiamo in sette: Marco Cavalleri, Angelo Castelli, Silvio Colzani ed il figlio Giorgio, Federico Crippa ed io che sono la più schiappa. Dopo due ore di auto arriviamo a San Giuseppe, qui ci rifocilliamo e verso le 13,30 partiamo dalla località “I Forni” (2176mt) alla volta del rifugio Pizzini (2700mt) che raggiungiamo in circa due ore. A questo punto io sono già distrutta e sto pensando di fermarmi in questo bel posto con sauna e dove dicono si mangi molto bene, ma non mi viene permesso e così riprendiamo il cammino verso il rifugio Casati (3254mt). Lo zaino è pesantissimo per via dell’attrezzatura (ramponi, picozza, imbragatura, abbigliamento invernale, ecc.) e l’altezza si fa sentire; io poi ho anche l’ansia da prestazione perché non voglio rallentare gli altri e come se non bastasse ci si mette anche la pioggia che muta rapidamente in nevischio. Quando penso di avere dato fondo a tutte le mie energie, finalmente arriviamo alla Casati e devo ammettere che la soddisfazione è grande. In quel mentre arriva fresco come se avesse fatto una passeggiatina Andrea Cattaneo partito da Inverigo molto dopo di noi (ma lui, a differenza di me, sì che “c’ha il fisico”!); ci mettiamo a tavola e mangiamo insieme a tante altre comitive che il giorno dopo affronteranno chi il Cevedale, chi lo Zebrù. Purtroppo mi viene un gran mal di testa e lascio il gruppo per andare a dormire, impresa pressoché inutile in quanto l’altitudine non me lo consente. Alle sei, ridotta ad uno straccetto, mi alzo e faccio colazione con gli altri; penso che forse non sarei dovuta venire, ma quando esco e vedo il cielo azzurrissimo in contrasto con la neve, mi si apre il cuore e mi viene da piangere (anche perché mi indicano dove dobbiamo arrivare!). Le varie comitive sono già pronte e super accessoriate, le donne hanno moschettoni, caschi, fisici asciutti, mentre io non so nemmeno mettere l’imbragatura (e non sono asciutta). Marco, mosso a compassione, si lega con me e partiamo; la fatica è ancora una volta immane, ma la cima (3769mt) mi ripaga di tutto e mi passa anche il mal di testa. Lo spettacolo è grandioso e mi viene una fame da lupi, ma ahimè, per darmi un contegno ho portato solo barrette e darei un braccio per un panino! Riscendiamo alla Casati e mi regalo una maglietta del rifugio che sento di essermi meritata e che custodirò come una reliquia; mangiamo qualcosa e iniziamo il lungo cammino che ci riporta alle auto. Anche la discesa mi mette a dura prova, ma alle 14 siamo finalmente alle macchine. Per me è stata un’esperienza grandiosa che spero di ripetere (se mi vorranno ancora!) e di condividere con altre schiappe come me che a volte non osano, ma che invece dovrebbero perché alla fine la soddisfazione è tanta.